L’eterodirezione in sociologia

Dal dopoguerra si è aperta una nuova epoca per l’umanità, l’epoca postmoderna. Come può evincersi dalla definizione del dizionario Treccani, «postmoderno» è il

termine usato per connotare la condizione antropologica e culturale conseguente alla crisi e all’asserito tramonto della modernità nelle società del capitalismo maturo, entrate circa dagli anni Sessanta in una fase caratterizzata dalle dimensioni planetarie dell’economia e dei mercati finanziari, dall’aggressività dei messaggi pubblicitari, dall’invadenza della televisione, dal flusso ininterrotto delle informazioni sulle reti telematiche.[1]

Analizzando la definizione, non si fa fatica a riconoscere una marcata attenzione verso i new media, individuati come fulcro portante della nuova società dei consumi.

La spinta consumistica è ciò che alimenta, e probabilmente continuerà ad alimentare ancora per molto, l’attuale società. Individui e istituzioni sembrano entrambi manipolati dalle forze assoggettanti del consumo capitalista. L’intero sistema appare succube di queste forze endogene.

In questo scenario, trova terreno fertile la diffusione e l’assoggettamento totale al «carattere sociale», ovvero a quella parte del carattere, propria dei gruppi sociali rilevanti e prodotta dall’esperienza di tali gruppi medesimi. Una sorta di carattere collettivo che permea l’individuo, influenzandone l’identità, la personalità e il carattere proprio.

Secondo lo psicologo e filosofo Erich Fromm, il carattere sociale è qualcosa di intrinseco e assolutamente necessario al funzionamento della società e all’esistenza della società stessa. Citando le sue parole:

Affinché qualsiasi società possa funzionare bene, i suoi membri devono acquisire il tipo di carattere che porti loro a voler agire nel modo in cui devono agire in quanto membri della società stessa o di una sua classe particolare. Essi devono desiderare ciò che nei fatti è oggettivamente necessario fare. La forza esterna viene sostituita da una costrizione interna e da quel particolare tipo di energia umana che si incanala nei tratti caratteriali. Finché l’umanità non ha raggiunto uno stato di organizzazione in cui l’interesse dell’individuo e quello della società siano identici, gli scopi della società devono essere raggiunti a scapito maggiore o minore della libertà e della spontaneità dell’individuo.[2]

Dunque, per Fromm la società tenta in tutti i modi di autoalimentare se stessa attraverso la manipolazione degli individui, imponendo loro l’adesione coatta al carattere sociale. E quale miglior terreno se non quello dell’epoca postmoderna, in cui consumismo di massa e conformismo la fanno da padrone.

È questo lo scenario storico-sociale in cui prende forma la disamina sociologica dell’americano David Riesman, nella sua celebre opera, La Folla Solitaria. Qui Riesman analizza le ripercussioni che la nuova società – la nostra società – ha su coloro che egli definisce «uomo-massa», ovvero un uomo, beninteso un individuo

eterodiretto, educato alla scuola del conformismo, schiacciato dal bisogno di approvazione e di successo, abitante in un mondo governato dalle apparenze, spogliato della propria individualità, solo e disarmato nella moltitudine che gli si affolla intorno.[3]

«Eterodiretto/eterodirezione» è un termine, coniato nel 1950 dallo stesso Riesman, che sta a indicare un tipo di controllo sociale proprio della società di massa e teso a persuadere i propri membri a determinati comportamenti veicolati dai mass media.

L’eterodirezione si presenta quindi come indottrinamento sociale che, secondo il sociologo americano, agisce già dalla prima infanzia attraverso l’educazione familiare e scolastica, cioè attraverso quello che Talcott Parsons definisce «processo di socializzazione»; un concetto che successivamente verrà ampliato, dai sociologi Berger e Luckmann, con la distinzione tra socializzazione primaria e secondaria:

La socializzazione primaria è la prima socializzazione che un individuo intraprende nell’infanzia, attraverso la quale diventa un membro della società. Socializzazione secondaria è ogni processo successivo che introduce un individuo già socializzato in nuovi settori del mondo oggettivo della sua società.[4]

È opportuno soffermarsi brevemente su questi due concetti chiave della sociologia contemporanea; secondo i due sociologi austriaci, la socializzazione è parte di un processo più complesso, noto come «interiorizzazione»:

l’individuo […] non nasce membro della società. Egli nasce con una predisposizione alla socialità, e diventa un membro della società. […] Il punto di partenza di questo processo è l’interiorizzazione: la percezione o l’interpretazione immediata di un evento oggettivo […] che così diventa soggettivamente significativo. […] L’interiorizzazione in questo senso generale è la base in primo luogo di una comprensione dei propri simili, e in secondo luogo della percezione del mondo come una realtà significativa e sociale. Questa percezione non è il risultato di autonome creazioni di significato da parte di individui isolati, ma ha inizio quando l’individuo subentra nel mondo in cui già altri vivono. […] L’individuo è un membro della società solo quando ha completato questo grado di interiorizzazione. Il processo ontogenetico attraverso cui ciò avviene è la socializzazione, che può dunque essere definita l’insediamento, completo e coerente, di un individuo nel mondo oggettivo di una società. […] L’interiorizzazione avviene solo quando avviene l’identificazione: il bambino assume i ruoli e gli atteggiamenti delle persone per lui importanti, cioè li interiorizza e li rende propri.[5]

L’interiorizzazione, in estrema sintesi, è la soggettivizzazione di una realtà oggettiva, quale la società, attraverso l’assimilazione di imposizioni socio-culturali, come i ruoli di genere, i ruoli di classe, ecc.

Con la socializzazione primaria, il bambino interiorizza il mondo che gli viene mediato dalle figure di riferimento a lui care – solitamente i genitori – come unico mondo possibile. Berger e Luckmann arrivano a definire questo processo come «la più grossa truffa che la società faccia ai danni dell’individuo»[6] poichè il mondo interiorizzato nella socializzazione primaria influenzerà ineluttabilmente l’intera sfera morale, sociale, pratica, emozionale, sentimentale, sessuale e professionale della persona. Diverso è il discorso per la socializzazione secondaria che ha caratteristiche più malleabili, ma di questo parlerò in un topic dedicato.

Anche Riesman si occupa della socializzazione primaria del bambino, ma accanto alle figure genitoriali di riferimento inserisce una nuova fonte di influenza sociale, il gruppo dei pari.

Secondo l’americano, infatti, dal secondo dopoguerra in poi, la società è stata investita da grossi cambiamenti strutturali, che hanno riformato integralmente il sistema famiglia.

Il periodo della ricostruzione postbellica ha generato una massiccia ripresa produttiva che ha spinto la popolazione femminile ad entrare nel mondo del lavoro, alterando così l’intero impianto secolare della famiglia nucleare.

Di conseguenza, le dinamiche familiari hanno subito un forte mutamento che ha riguardato le relazioni parentali in senso lato e l’educazione dei figli che oggi vengono lasciati alle cure dei nonni, quando è possibile, o, in alternativa, a quelle disinteressate di una baby sitter.

Venute meno le tradizionali figure genitoriali, il bambino cerca nuove figure di riferimento, che trova all’interno del gruppo dei suoi pari; inoltre, sono proprio i genitori a spingere i propri figli a conformarsi ai coetanei. Essi, infatti, insicuri nel ricoprire il proprio ruolo genitoriale, cercano consiglio e confronto nei loro pari e nell’informazione di massa, come riviste, consulenti famigliari, insegnanti, ecc., affidandosi sempre più spesso a un modello standardizzato di educazione.

Tale modello rafforza l’idea secondo la quale il bambino necessita di un gruppo coetanei al quale omologarsi. I genitori, infatti, influenzati dai propri pari, perpetrano, nei propri figli, la medesima necessità di essere a loro volta influenzati, a costo di mettere in secondo piano il benessere stesso del bambino, privandolo dell’opportunità di formare la propria esclusiva individualità. Inconsapevolmente, i genitori riversano sui figli delle aspettative dettate da costrutti sociali e quindi frutto dell’influenza sociale e dell’omologazione eterodiretta.

Dunque, già in età puerile il desiderio di sviluppare la propria individualità subisce un freno: l’infante apprende che non vi è posto per la fantasia e l’espressione e che l’unica variante di rappresentazione è quella percepita e condivisa dalla collettività.

Come detto in precedenza, ciò che viene interiorizzato durante l’infanzia si radica nel profondo della nostra coscienza, influenzando tutto il periodo della crescita, della maturità e della vita adulta.

Anche da adulti, infatti, qualsiasi siano le decisioni che il gruppo deciderà di prendere, l’individuo non solo sarà portato ad emularlo, ma sarà egli stesso a provare il desiderio di realizzarle, soggiogato dall’ineluttabile omologazione. Il pensiero predominante del gruppo dei pari è indiscutibile e sovrano, non solo nel legittimare mode e azioni, ma anche nel dissuadere da comportamenti, preferenze e interessi che, per l’appunto, non sono pensiero e/o volontà comune.

Nella società eterodiretta, i singoli tendono ad aggregarsi e influenzarsi reciprocamente, orientando il proprio agire conformemente a quello di altri individui, sempre più inclini a tessere relazioni e prendere decisioni convenzionalmente accettate e condivise, perdendo di vista i confini della propria identità specifica. Una identità che negli individui più influenzabili non riesce neppure a formarsi, lasciando la persona in balia delle mode, delle aspettative sociali e dei dettami dei suoi gruppi sociali (famiglia, amici, colleghi di lavoro, ecc).


[1] “Postmoderno”, Treccani.it, 11/07/2020, http://www.treccani.it/enciclopedia/postmoderno/
[2] Fromm E., Individual and Social Origins of Neurosis, https://www.marxists.org/archive/fromm/works/1944/neurosis.htm, 07/08/2022.
[3] Riesman D., La folla solitaria, il Mulino, Bologna, 2009, quarta di copertina.
[4] Berger P. L., Luckmann T., La realtà come costruzione sociale, il Mulino, Bologna, 1997, p. 167.
[5] Ivi, pp. 165-167.
[6] Ivi, p. 172.

Approfondisci:

L’anomia e l’autonomia nella società eterodiretta

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